L’attenzione di studi e ricerche sulle formazioni partigiane italiane che combatterono per la liberazione della Jugoslavia dai nazisti si è prevalentemente concentrata sulla Divisione Garibaldi, costituitasi nel dicembre 1943 dalla volontaria adesione dei militari del Regio Esercito appartenenti alla 19ª divisione fanteria “Venezia”, alla 1ª divisione alpina “Taurinense” e ai superstiti della 155ª divisione fanteria “Emilia”, che operò prevalentemente in Montenegro. In larga parte è dimenticata invece la vicenda delle tante altre formazioni di partigiani italiani formatesi più a nord, soprattutto nell’entroterra dalmata, le quali contribuiranno alla liberazione di Belgrado nell’ottobre 1944 e daranno vita all’omologa Divisione Italia che combatterà fino a Zagabria.
Riccardo Lolli in questo volume intende perciò ricostruire la storia e rendere omaggio ai componenti Aquilani di entrambe le Divisioni. Lo fa attraverso un intenso studio delle fonti archivistiche che peraltro mette in luce il carattere internazionalista della lotta antifascista anche riguardo all’Abruzzo. Il contributo dei combattenti della provincia dell’Aquila fu tutt’altro che secondario sia per quantità che per qualità e Lolli intende perciò ridare voce ed onore almeno ad una parte di quagli eroi sconosciuti che seppero, in un contesto quanto mai drammatico, rimanere lucidi scegliendo di combattere per la libertà di un popolo sino a poco tempo prima considerato nemico.
L’alleanza fra partigiani slavi e militari italiani procedeva fra inevitabili difficoltà e i problemi che insorgevano nella quotidianità venivano puntualmente risolti in favore dei partigiani. Nonostante questo, e nonostante l’opportunità per i nostri connazionali di un rimpatrio sicuro, essi dimostrarono coi fatti il vero orgoglio italiano scegliendo fame, freddo e sacrifici rimanendo ad impegnarsi per la liberazione definitiva del paese. Alle difficoltà dei campi di battaglia si sommavano quelle dell’assistenza sanitaria: l’assenza di medicinali, bende e disinfettanti causò dal 20 al 30% dei decessi degli ammalati nei reparti. Nell’occasione, come già per i rifornimenti richiesti nell’inverno, gli Alleati si comportarono in modo ambiguo ostacolando di fatto il trasferimento dei feriti in Italia per via aerea. Il coraggio di alcuni nostri connazionali si manifestò ulteriormente quando alcuni di loro, catturati dai tedeschi dopo essere confluiti nelle formazioni partigiane, una volta liberatisi non esitarono a riprendere la lotta contro l’occupante nazista: perché, come cita il monumento al combattente italiano caduto per la liberazione inaugurato il 20 maggio 1945 a Zagabria “…che nessuno ardisca gettare fango sul sangue sparso nella lotta comune…”
Alessio Pizziconi